Figurazioni del Demone del racconto in César Aira e dintorni │ Altre Modernità

por Amanda Salvioni para Altre Modernità │ Ensayo │ Noviembre de 2017

 

L’ULTIMO DI CÉSAR AIRA (Fragmento del ensayo)

Quasi contemporaneamente a Entre los indios, nel 2012, è apparso il romanzo La última de César Aira, dello scrittore argentino Ariel Idez. Il giovane autore inventa in questo libro una trama tipicamente airiana, in cui Aira, denominato il Demiurgo di Flores, incarna il male assoluto che incombe sulla città di Buenos Aires. Protagonista del romanzo è l’anti-eroe dal significativo nome di Dante, detto anche Il nano più sexy del mondo, un passeggiatore di cani con velleità letterarie che soffre di un blocco creativo. Ossessionato dalla pagina in bianco, Dante scopre casualmente con angoscia una  strana coincidenza: tutte le case editrici del paese si stanno preparando a lanciare l’ultimo libro di César Aira. Non tarderà a rendersi conto che la spettacolare uscita editoriale cela una trama tenebrosa concepita dal genio del male, il  diabolico  Aira, capo di una setta segreta che popola, come nell’incubo più celebre della narrativa argentina, El informe sobre ciegos di Ernesto Sabato, i sotterranei di Buenos Aires. Nelle sue peripezie Dante è accompagnato da coprotagonisti contrassegnati da epiteti accattivanti, come la Sartina di Pringles, spin-off di un personaggio del romanzo di Aira La costurera y el viento (1994), una prostituta vergine, conosciuta da Dante in  un bordello di proprietà di Aira; lo Spacciatore letterario, un paranoico libraio clandestino con manie di persecuzione; il Tipico frocio nazista, un caro amico d’infanzia di Dante; lo scrittore/personaggio Luis Chitarroni, peraltro fondatore, nella realtà,  della  casa editrice La Bestia Equilátera, frequentata dallo stesso Aira; e altre pittoresche entità, come la confraternita dei passeggiatori di cani, l’associazione dei  taiwanesi peronisti,  gli skinheads del Parque Saavedra, e così via.

L’operazione di Idez è chiara fin dall’incipit: il romanzo si apre con l’incontro fra il protagonista e il suo amico Joaquín, fondatore di una minuscola casa editrice che in realtà deve ancora vedere la luce. I due si scambiano poche illuminanti parole: César Aira in persona ha chiamato Joaquín per offrirgli il suo ultimo romanzo da pubblicare nella sua ancora inesistente impresa editoriale. Di fronte all’incredulità di Dante,  Joaquín insiste euforico:

Sí, Dante, yo tampoco podía creerlo, primero pensé que era una joda, y le seguí la corriente para ver qué pasaba. Menos mal, era Aira de veras. Por la voz no podía distinguir, porque habla tan bajito y no dice casi nada, cualquiera podía estar imitándolo, pero me convencí cuando nos envió un mail con el primer capítulo. (Idez: 7)

La dichiarazione di apertura di Joaquín va dritta al cuore della questione: chiunque può imitare l’emissione vocale, flebile e laconica, dell’Aira in persona, ma la sua scrittura è unica, depositaria di un marchio di fabbrica inconfondibile e inimitabile.  Il capitolo di romanzo inviato dal Demiurgo di Flores all’editore in erba è “cien por ciento Aira” e, a riprova della paternità certificata del testo, Joaquín snocciola una sinossi avventurosa e fantastica le cui caratteristiche riproducono esattamente quelle dello stesso romanzo di Idez: una situazione iniziale triviale e lievemente assurda, segnata da un elemento di instabilità la cui crisi porta allo sviluppo vertiginoso di una trama in perenne movimento. L’inimitabile scrittura di Aira è, di fatto, imitata dal romanzo stesso in cui Aira agisce come personaggio. Ma la mise en abîme non si esaurisce qui, né sembra essere fine a se stessa. Tra le pieghe della trama “tipicamente airiana” del romanzo di Idez, si cela, infatti, una lettura critica dell’intero progetto narrativo di Aira, condotta dall’interno del sistema, come se, simulando di appartenere allo stesso flusso discorsivo di Aira, se ne volessero svelare i meccanismi, sospendendo  il giudizio estetico. Un monologo interiore di Dante recita infatti:

Es sospechoso hablar de categorías como mejor o peor en la obra de César Aira, un autor que se preocupa más por el proceso de producción que por el  resultado  final; ahí el azar tenía mucho que ver, las impresiones cotidianas, el continuo perceptivo, cada novela era el resultado de una partida de dados. (Idez: 23)

Tuttavia, le interpretazioni e le ipotesi di lettura disseminate nel testo non sono sempre originali, ma obbediscono piuttosto a luoghi comuni abbastanza consolidati della critica,6 al punto da apparire come ammiccamenti al lettore colto, per  la  precisione al lettore accademico, perfettamente avvezzo a manipolare le raffinate categorie teoriche e gli eruditi riferimenti culturali che popolano la bibliografia  sul tema. Inoltre, a ben vedere, le interpolazioni critiche della voce narrante sembrano rimandare a un tratto tipico della prosa di Aira, ovvero le continue e improvvise notazioni metaletterarie che più volte interrompono il flusso narrativo dei  suoi  romanzi.

Da un altro punto di vista, il romanzo di Idez sembra voler riflettere sul funzionamento del campo letterario in Argentina, che gira intorno a un autore che si è volutamente posto ai suoi margini, stravolgendo poco a poco le sue  leggi,  a cominciare da quelle del mercato. E allora, c’è qualcosa di osceno nell’entusiasmo iniziale di Joaquín: inaugurare una casa editrice con un libro di Aira significa avere da subito il prestigio assicurato, “las reseñas en los suplementos culturales de los principales diarios, y unos 300 ejemplares ubicados de antemano, que ya amortizan la inversión. Más la presentación del libro, los contactos, la distribución…” (Idez: 8). Di fronte alla crisi creativa di Dante, la venalità e il cinismo dell’editore in erba sembrano alludere al carattere infernale e corrotto del mercato editoriale, prima ancora che questo si manifesti chiaramente nella trama. Ben presto, infatti, l’ultimo di César Aira si rivelerà una maledizione, la trappola maligna tramata dal Demiurgo di Flores per assumere il controllo sulla capitale.

Ma il campo letterario argentino, oltre che da un mercato così demonizzato, è anche costituito da figure di intellettuali che incarnano, spesso simultaneamente, i molteplici ruoli che il campo stesso richiede per poter funzionare come tale:  lo  Scrittore, il Critico e l’Editore. È il caso di Luis Chitarroni, il Guru della Letteratura Argentina che, insieme ad Aira e al poeta Arturo Carrera, costituisce uno dei personaggi/scrittori che la finzione prende in prestito dalla realtà. Dante andrà a trovarlo per chiedergli spiegazioni circa il carattere demoniaco del Demiurgo di Flores. Sarà il linguaggio, in questo caso, il tratto caratterizzante del personaggio.  Alla  semplice e terrificante menzione del nome di Aira, Chitarroni si ritrae dietro una nebulosa cortina di termini ed espressioni tipiche del linguaggio accademico, quella koiné del campo letterario argentino, autoreferenziale e quasi gergale, che qui appare ridicolmente destituita di ogni senso.

Bah, en realidad no comprendo nada puesto que ya sabemos: “no se puede comprender”, pero eso es todo lo que es el caso, es decir, el mundo, y no una muestra histológica del tejido que conforma la superficie  del  discurso  como  el que usted expone, pero basta, en fin, con estas disquisiciones tan poco afines al género dialógico, comprendo. Por lo tanto, atengámonos básicamente a la ficción del sentido, su punto. Estamos hasta las bolas. (Idez: 106)

Non diversamente reagisce Arturo Carrera, il poeta originario di Pringles che già aveva subito la sorte di vedersi tramutato in personaggio proprio in un libro di Aira, dando vita alla memorabile figura di Arturito in Como me hice monja (1993). Le cose,  qui, sembrano complicarsi: mentre l’inquietante Arturito, nel mondo allucinato della “bambina” César Aira, voce narrante di Como me hice monja, è il responsabile di un perturbante trauma infantile della protagonista, l’Arturo Carrera del romanzo di Idez, invece, appare come la vittima tremebonda del diabolico Aira, traumatizzato per sempre dalle crudeli angherie del suo “amico” d’infanzia. Il suo ruolo, nel  testo,  è  quello di confermare i peggiori sospetti di Dante sull’infausta possessione  del Demiurgo di Flores.

Per riassumere, gli interventi metaletterari del romanzo di Idez sono ammiccamenti al lettore o tratti mimetici della prosa di Aira; la critica al mercato editoriale è iperbolica e paradossale; l’evocazione del campo letterario nazionale ha un mero intento parodico. E allora, dove vuole veramente arrivare questo romanzo dichiaratamente contraffatto, popolato da identità reali, convertite in personaggi appiattiti dal peso del loro ruolo attanziale? Verrebbe da dire che in primo luogo il romanzo punti alla dimostrazione della sua tesi iniziale, ovvero l’unicità inimitabile del “fattore Aira”. La semplice mescolanza dei tratti caratteristici della scrittura airiana – l’ironia, la comicità grottesca, l’immaginazione sfrenata, gli interventi metaletterari, la velocità del racconto, l’espansione vertiginosa delle peripezie nello spazio – che Idez mette insieme, non bastano a sintetizzare in laboratorio il “fattore Aira”, ma anzi testimoniano la sua irriducibile resistenza a funzionare come modello.

Tuttavia, è possibile che ci sia un’intenzione più studiata. In uno degli interventi metaletterari di Dante, viene implicitamente menzionato uno dei numi tutelari del “fattore Aira”, ovvero Marcel Duchamp:

Después de todo cada libro de Aira es un poco como un objet trouvé, y bien podría ser exhibido en un museo junto con otros artefactos de igual inutilidad como el banquito de madera con una rueda de bicicleta engranpada en las asentaderas. (Idez: 65)

Il libro inteso non come opera concepita e prodotta secondo un ideale estetico, bensì come ready–made, come oggetto casuale che lo scrittore seleziona dal flusso del proprio discorso, a somiglianza della ruota di bicicletta selezionata dal fluire del reale  ed esposta da Duchamp come opera d’arte, è uno dei capisaldi della poetica di Aira, più volte enunciata, non solo nella finzione, ma anche nella produzione saggistica.7 Ebbene Idez sembra essersi voluto appropriare di uno di quegli oggetti casuali, e aver sostituito la firma di Aira con la propria, in un atto di sovrana irriverenza non solo nei confronti del prodotto dell’arte, coerentemente con la posizione avanguardista di Duchamp/Aira, ma anche nei confronti della nozione di autore.8 Ciò che rimane dell’opera è solo l’enigma della creazione artistica.

Resta da capire perché il personaggio Aira, nel romanzo di Idez, abbandoni  le vesti del benevolo demiurgo di un universo letterario lieve e irriverente, per assumere quelle dell’oscuro signore delle tenebre. Forse una risposta del tutto plausibile non è pertinente, se non a rischio, ancora una volta, di un eccesso di  interpretazione.  Tuttavia, ci si limita qui a segnalare che se il romanzo di Idez è una forma di esorcizzare l’angoscia dell’influenza provocata da un modello inimitabile, ebbene, appare chiaro che all’oggetto dell’esorcismo non può che venire attribuita una qualità demoniaca.  Ben lontana dalla natura metafisica del demone del racconto, che abbiamo visto delinearsi in Entre los indios, la demonizzazione di Aira nel romanzo di Idez rivela, da parte del giovane autore, nient’altro che la sadica tentazione del totale annientamento del suo modello.

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Nota original: https://riviste.unimi.it/index.php/AMonline/article/download/9260/8755